lunedì 25 marzo 2013

Critici, smaliziati, sicuri di sé vogliono imparare divertendosi


a Telèma, n. 24, Primavera 2001

di Don Tapscott


Per i ragazzi di oggi il mondo dei bit è parte del paesaggio naturale. L'autore di questo articolo, uno degli studiosi americani più autorevoli in materia di formazione giovanile, è molto ottimista: sta venendo su, afferma, una generazione di adolescenti curiosi, vivaci, determinati, esperti dei media, in grado di apprendere in modo interattivo, disponibili all'innovazione e alla collaborazione.
Quella dei ragazzi di oggi è la prima generazione che cresce nell'era digitale. Chiamiamola la net generation. I computer si trovano a casa, a scuola, in fabbrica, in ufficio, mentre apparecchi e congegni tecnologici digitali, quali macchine fotografiche, cineprese, videogiochi e cd-rom, sono ormai diffusissimi. Internet, un intreccio di reti in espansione che attrae ogni mese milioni di nuovi utenti, collega sempre più strettamente tra di loro questi nuovi media. I ragazzi del nostro tempo sono a tal punto immersi nei bit da ritenerli parte del paesaggio naturale. La tecnologia digitale non incute loro più soggezione di un videoregistratore o di un tostapane.
Per la prima volta nella storia i figli si muovono con maggiore agio dei loro genitori davanti a un'innovazione centrale per la società e sono più informati e istruiti al riguardo. Proprio attraverso l'uso del mezzo digitale la net generation svilupperà e imporrà la sua cultura al resto della società. Figli del baby boom, fatevi da parte! Già ora questi ragazzi studiano, giocano, leggono, comunicano, lavorano e creano comunità in modo molto diverso dai loro genitori. Sono la molla della trasformazione sociale. Per la maggior parte il tempo speso davanti al computer e alla rete è sottratto alla televisione. Quando sono in rete, i ragazzi leggono, analizzano, convalidano, contestualizzano dati e informazioni, riuscendo a separare molto bene il grano digitale dal loglio e formulando i loro pensieri con spirito autenticamente critico.
La mia ricerca indica che si sta costituendo una generazione di adolescenti che apprendono in modo interattivo e che sono svegli, esperti dei media, capaci di innovazione e disponibili a collaborare. Una generazione di individui straordinariamente curiosi, sicuri di sé, pronti alla contraddizione, concentrati su un fine, agili nell'adattarsi, ma nello stesso tempo dotati di una forte autostima e di un'impostazione mentale globale. Queste attitudini, in parte derivate e in parte rafforzate dalla straordinaria agilità con cui gli adolescenti sanno usare, anzi più esattamente manipolare, gli strumenti digitali, obbligherà tutte le istituzioni della società a modificare, per mantenerlo proficuo, il proprio modo di procedere.
La maggior parte delle mie osservazioni sul comportamento dei ragazzi di oggi proviene dalla ricerca che ho condotto per il mio volume Growing up digital 1. Per un periodo di un anno un gruppo di lavoro sotto la mia guida ha portato avanti un dibattito sulla realtà di Internet con circa 300 bambini e giovani di età compresa fra i 4 e i 20 anni. Un professore universitario, poi, ha ospitato per varie settimane un forum on line con studenti che si preparavano a diventare insegnanti. Inoltre mi sono intensamente e proficuamente avvalso della collaborazione dello staff di FreeZone, un sito web frequentato da oltre 30.000 ragazzi. Abbiamo utilizzato il sito per svolgere discussioni on line e per fare dei sondaggi.
Un punto dominante emerge in tutte le nostre conversazioni con i ragazzi: essi non tollereranno il permanere dello status quo. Un buon terreno per esemplificare l'ampiezza dei cambiamenti richiesti è rappresentato dalle nostre scuole.
Se professionisti dell'insegnamento ibernati trecento anni fa potessero tornare in vita oggi e guardassero ad altre professioni - un medico in una sala operatoria, un aviatore nella cabina di pilotaggio, un ingegnere che progetta un veicolo nel ciberspazio - si stupirebbero certamente di come le tecnologie hanno trasformato il lavoro. Ma se entrassero in un'aula scolastica, constaterebbero subito che nella scuola finora è cambiato ben poco.
Ma ora un cambiamento deve avvenire. I ragazzi della net generation stanno cominciando a elaborare l'informazione e ad apprendere in modo diverso dai loro genitori. I nuovi strumenti mediali contengono una grande promessa per un nuovo modello di apprendimento, fondato sulla scoperta e sulla partecipazione. Il combinarsi di una generazione nuova e di nuovi strumenti digitali porterà a ripensare la natura dell'istruzione, sia nel contenuto sia nel modo in cui impartirla. Il passaggio da un ruolo di ricevente passivo, secondo il modello proprio della trasmissione radiofonica, a quello di partecipante attivo in seno a un modello interattivo costituisce la pietra angolare della net generation. I ragazzi sono decisi a essere utenti, non semplici spettatori o ascoltatori.
Con questo nuovo modello ci si sposta da un'istruzione incentrata sull'insegnante a un'istruzione incentrata sul discente: l'esperienza dell'apprendimento pone oggi al centro l'individuo che apprende anziché quello che trasmette il sapere. Finora l'istruzione tendeva a imperniarsi sull'insegnante, non sullo studente, in particolare per quanto riguarda l'istruzione post-secondaria, ove gli interessi specifici e la formazione del docente influenzano fortemente la materia dell'insegnamento. Infatti gran parte dell'attività in aula prevede che il docente parli e lo studente ascolti.
Per converso, un'istruzione incentrata sul discente comincia con una valutazione delle capacità, del modo di apprendere, del contesto sociale e di altre importanti caratteristiche dello studente che più incidono sull'apprendimento. Essa comporta un ampio ricorso a dei programmi di software che strutturano e adattano al caso specifico l'esperienza dell'apprendimento che diventa così più attiva, nella quale gli studenti discutono, dibattono, fanno ipotesi, ricercano soluzioni e collaborano su un certo numero di progetti.
Il nuovo modello non tende a imporre al discente l'assorbimento di certe nozioni, ma considera prioritario che egli impari a navigare e a pensare. Tra l'altro è un modello, anche questo è molto importante, altamente personalizzato. Pone lo studente in condizione di essere trattato come un individuo la cui esperienza di apprendimento dipende dal suo background, dalle sue doti personali, dal livello di età, dallo stile cognitivo, dalle sue preferenze nei rapporti interpersonali e così via.
Inutile dire che tutt'una generazione di insegnanti deve far propri nuovi strumenti, nuovi approcci e nuove capacità. Una sfida enorme. Ma, sfruttando il mezzo digitale, gli educatori e gli studenti possono muovere verso un paradigma di apprendimento più forte ed efficace. Esso dovrebbe corrispondere ai mutamenti che l'apprendimento interattivo comporta. Ne riassumo, qui di seguito, otto che mi sembrano essenziali.
1. Dall'apprendimento lineare a quello ipermediale. I metodi tradizionali sono lineari. Questo dato risale alla natura dello strumento di apprendimento per eccellenza, il libro. La maggior parte dei libri è scritta per essere affrontata dall'inizio alla fine. Così pure le trasmissioni televisive e i video didattici sono programmati per essere visti dall'inizio alla fine.
Ma l'accesso all'informazione proprio della net generation è più interattivo e non sequenziale. Osservate come un bambino "pratica il surfing" da un canale all'altro mentre guarda la televisione: io lo faccio spesso, nel salotto di casa, osservando come i miei figli vanno avanti e indietro tra vari programmi televisivi e videogiochi. Non c'è dubbio che questo modo di fare riguarderà anche la rete quando il nostro apparecchio televisivo diventerà anche un dispositivo per accedervi.
2. Dall'istruzione alla costruzione e alla scoperta. Dice Seymour Papert: «Lo scandalo dell'educazione sta nel fatto che ogni volta che si insegna qualcosa si priva il bambino del piacere e del beneficio di poterla scoprire lui»2. A rischio di riuscire altrettanto eretico, oserei dire che si riscontra un allontanamento dalla pedagogia - in quanto arte, scienza e professione dell'insegnamento - a beneficio della creazione di associazioni e culture "di" e "per" l'apprendimento. Le scuole possono diventare un luogo per imparare, piuttosto che un luogo per insegnare. Ciò non significa che si debba rinunciare a definire ambienti per l'apprendimento, che non ci debbano più essere curricula di studi. Ma questi possono, tuttavia, essere tracciati assieme ai discenti o dai discenti stessi.
Questo approccio viene descritto dagli educatori come "costruttivistico". Per colui che impara non si tratta tanto di assimilare il programma culturale mandato in onda dall'insegnante, quanto di ri-costruire il sapere. Il costruttivismo si fonda sul presupposto che la gente riesce a imparare meglio agendo piuttosto che semplicemente sentendosi raccontare le cose: il costruttivismo è, dunque, il contrario del nozionismo (instructivism). Le prove a favore del costruttivismo sono assai convincenti, né c'è alcun motivo di stupirsene. L'entusiasmo che prova un ragazzo per un fatto o un concetto che ha "scoperto" da solo rende assai probabile che esso per lui risulti significativo e che sia quindi assimilato, più di quanto non avvenga se viene semplicemente scritto sulla lavagna dall'insegnante.
3. Dall'istruzione incentrata sull'insegnante a quella incentrata sullo studente. Il nuovo mezzo consente al processo di apprendimento di puntare sull'individuo che impara e non più su colui che trasmette il sapere. Inoltre, è ovvio che un'istruzione che pone al centro il discente favorisce la motivazione del bambino a imparare. Apprendimento e divertimento possono convergere. E' importante rendersi conto che passare da un tipo di istruzione "docente-centrica" a una "discente-centrica" non comporta un ridimensionamento del ruolo dell'insegnante che, rimanendo una figura altrettanto centrale e valorizzata in un contesto del secondo tipo, continua a svolgere una funzione essenziale nel creare e strutturare l'esperienza dell'apprendimento.
L'istruzione incentrata sul discente comincia con una valutazione delle capacità, dello stile di apprendimento, del contesto sociale e di altre rilevanti caratteristiche dello studente che toccano l'apprendimento stesso. Essa comporta un ampio ricorso a programmi di software che strutturano e "tagliano" l'esperienza dell'apprendimento sulla misura del bambino; e nello stesso tempo è anche più attiva, poiché gli studenti discutono, dibattono, ricercano e collaborano in vari progetti.
4. Dall'assimilare nozioni all'apprendere a navigare e a imparare. Ciò implica la formazione di una capacità di sintesi e non solo di analisi. I figli della net generation valutano e analizzano fatti: una sfida formidabile e onnipresente nella galassia di dati forniti da fonti d'informazione facilmente accessibili. Ma, quel che più importa, essi sintetizzano. Si confrontano con l'informazione e con altre persone in rete e formano o costruiscono strutture di livello superiore nonché immagini mentali.
5. Dall'apprendimento scolastico a quello di tutta una vita. Per il giovane nato negli anni Cinquanta che guardava al suo futuro nel mondo del lavoro, la vita era divisa in un periodo in cui si imparava e in un periodo in cui si agiva. Il nostro ragazzo andava a scuola, forse anche all'università, acquisiva una competenza - un mestiere o una professione - e per il resto dei suoi giorni la sfida consisteva semplicemente nel mantenersi aggiornato sugli sviluppi nel suo campo. Ma le cose sono cambiate. Oggi molti figli del baby boom sanno di dover reinventare costantemente le basi del loro sapere. Imparare è divenuto un processo continuo, di tutta una vita. La net generation entra sin dall'inizio in un mondo in cui l'apprendimento dura tutta la vita e, a differenza delle scuole degli anni passati, il sistema educativo odierno può prevedere questa realtà.
6. Da un apprendimento in "taglia unica" a un apprendimento personalizzato. Il mezzo digitale mette lo studente in condizione di essere trattato come un individuo, di vivere un'esperienza di apprendimento fortemente personalizzata, commisurata al suo background, ai suoi talenti, alla sua età, ai suoi processi cognitivi, alle sue inclinazioni nei rapporti interpersonali.
Dice Papert: «Per me il vero contributo del mezzo digitale all'istruzione consiste in una flessibilità che potrebbe consentire a ogni individuo di scoprire i suoi percorsi personali verso l'apprendimento. Con ciò si potrà avverare il sogno di ogni educatore progressista: nell'ambiente dell'apprendimento del futuro ogni allievo sarà "speciale"»3.
In effetti, dice ancora Seymour Papert a proposito di questo modello, che prevede una "comunità di apprendimento", condivisa sia da studenti sia da insegnanti, formata da un'unica aula per bambini della medesima età: «La socializzazione non si ottiene nel miglior modo segregando il bambino in una classe con altri bambini della stessa età. Il computer è un mezzo in cui ciò che uno fa si presta a essere modificato e condiviso. Quando i bambini si riuniscono intorno a un progetto, nasce un ricco dibattito: essi mostrano il loro lavoro ad altri bambini, altri bambini vogliono vederlo, e così imparano a condividere il sapere con altri, più e meglio che in un'aula scolastica»4.
7. Dall'imparare come tortura all'imparare come intrattenimento. Forse parlare di tortura è esagerato, ma per molti ragazzi davvero quello della scuola non è il momento migliore della giornata. Alcuni educatori hanno lamentato il fatto che una generazione tirata su con Sesame Street si aspetta che la scuola sia un intrattenimento, e pensa di divertirsi mentre impara, allorché - essi sostengono - apprendimento e divertimento dovrebbero rimanere chiaramente distinti.
Perché l'apprendimento non dovrebbe essere intrattenimento? Il Webster's ninth college dictionary dà quale terza e quarta definizione del verbo to entertain (intrattenere): «tenere, conservare o mantenere nella mente» e «accogliere e prendere in considerazione». In altri termini, l'entertainment (lett. intrattenimento) nelle accezioni sopradescritte è stato sempre una parte essenziale del processo di apprendimento e gli insegnanti, da che mondo è mondo, hanno sempre chiesto ai loro allievi di "intrattenere" - cioè di coltivare - delle idee. In questo senso gli insegnanti migliori erano appunto degli "intrattenitori". Usando i nuovi mezzi oggi a disposizione, è il discente a diventare l'intrattenitore e così facendo egli crea divertimento, motivazione e senso di responsabilità mirati all'apprendimento.
8. Dall'insegnante come trasmettitore all'insegnante come coadiutore. Apprendere sta diventando una nuova attività sociale, agevolata da una nuova generazione di educatori.
Tema della ricerca: i pesci di mare. L'insegnante divide la sesta classe in squadre e chiede a ogni gruppo di preparare un lavoro su un pesce scelto dal gruppo medesimo, trattando i seguenti punti: la storia, il sistema respiratorio, la propulsione, la riproduzione, la dieta, i predatori e i "casi interessanti" riguardanti il pesce. Gli scolari hanno accesso a Internet e possono avvalersi di tutte le risorse che vogliono. Le domande vanno rivolte ad altri elementi della squadra e ad altri scolari della classe, ma non all'insegnante.
Due settimane più tardi il gruppo di Melissa è il primo a essere pronto. Gli scolari hanno creato il progetto di una home page sullo squalo, provvista di hot links per ogni argomento. Il lavoro viene proiettato su uno schermo posto di fronte alla classe, mentre le ragazze illustrano quanto hanno fatto. Esse dispongono di videoclips su diversi tipi di squali, nonché di un clip di Jacques Cousteau che parla dello squalo come specie a rischio di estinzione. Poi, dal vivo, esse vanno in Aquarius, un sito web ambientato al largo degli isolotti corallini della Florida. La classe può porre domande al personale di Aquarius, ma la maggior parte delle domande è rivolta alla squadra autrice del progetto. Uno dei temi più discussi concerne la contrapposizione tra i pericoli posti all'uomo dagli squali e quelli rappresentati per gli squali dall'uomo.
La classe decide di tenere un forum on line su questo tema e chiama a parteciparvi i ragazzi delle classi parallele in altri paesi. Il gruppo, dopo aver invitato le classi a sfogliare il suo progetto in qualunque momento, poiché esso rimarrà fruibile per tutto il resto dell'anno scolastico, finisce col decidere che conserverà il sito, aggiungendovi nuovi collegamenti e informazioni aggiornate per tutto l'anno. Così esso diventa un living project. Poi, altri scolari in altri paesi trovano utile alla loro attività la pagina sullo squalo e vi impostano collegamenti propri. La squadra ha dovuto procurarsi le informazioni, gli strumenti e i materiali di cui aveva bisogno.
L'insegnante funge da risorsa e da consulente dei gruppi, ma svolge anche il ruolo di operatore giovanile: uno degli scolari, infatti, aveva grossi problemi a casa e non era motivato a partecipare al gruppo di lavoro. Pur non potendo risolvere i problemi, l'insegnante ne tiene conto e indirizza lo scolaro all'assistente scolastico. Inoltre facilita il processo di apprendimento, tra l'altro partecipando come consulente tecnico sui nuovi media. D'altronde egli impara molto dai membri del gruppo di Melissa, che in realtà ne sanno più di lui sugli squali (la sua formazione è umanistica, non scientifica). L'insegnante non compete con Jacques Cousteau, ma trova invece in lui un sostegno.
Conclusione. Muovere verso questa nuova filosofia dell'istruzione sarà una sfida; non solo per la resistenza al cambiamento di alcuni insegnanti, bensì a causa dell'odierna atmosfera di tagli al bilancio, morale degli insegnanti a terra, mancanza di tempo dovuta alla pressione di crescenti carichi di lavoro e, non ultimo, per le scarse risorse devolute all'aggiornamento dei docenti.
Il mezzo digitale è sempre più un riflesso del nostro mondo, di ogni opinione, di ogni disciplina, di ogni interesse commerciale, di ogni ricettacolo di sapere. Poiché è diffuso, interattivo, malleabile e privo di controllo centralizzato, è un veicolo per un cambiamento rivoluzionario in tutti i campi, atteggiamenti e strutture sociali. Non c'è mai stata un'epoca così pregna di promessa e di pericolo. La sfida di realizzare tale promessa e di salvare il nostro fragile pianeta sarà affidata alla net generation. Noi siamo responsabili nei confronti di questi ragazzi: dobbiamo fornire loro gli strumenti e l'opportunità per compiere il loro destino.
(Traduzione di Cosima Campagnolo)

Note
1 D. Tapscott, Growing up digital. The rise of the net generation, McGraw-Hill, 1998.
2 S. Papert, The connected family: bridging the digital generation gap, Longstreet Press, Marietta (GA), 1996.
4 "Christian Science Monitor", 21 aprile 1997.

Stupido è chi non usa Google



TECNOLOGIA
16/02/2011

Stupido è chi non usa Google

da LaStampa.it

Derrick de Kerckhove parla del suo ultimo ebook «La mente accresciuta»
PATRICK HESTER *
Derrick de Kerckhove è professore del dipartimento di lingua francese all’Università di Toronto, Canada, dove è stato direttore del Programma McLuhan in Cultura e Tecnologia dal 1984 al 2008. Già insignito della Papamarkou Chair in Technology and Education presso la Library of Congress, attualmente insegna alla facoltà di Sociologia dell’università Federico II di Napoli e tiene lezioni all’Interdisciplinary Internet Institute (IN3) dell’Università Oberta di Catalunya a Barcellona.

È autore di Brainframes: mente, tecnologia, mercato, La pelle della cultura: un'indagine sulla nuova realtà elettronica, Connected Intelligence e The Architecture of Intelligence. Ha redatto e curato numerosi documenti, saggi e raccolte, tra cui McLuhan for Managers e The Alphabet and the Brain. Oggi Derrick ci parla di La mente accresciuta, ebook pubblicato da 40k.

Che cosa significa “mente accresciuta”, che definizione ne dà?
La mente accresciuta è l'ambiente cognitivo, attivo sia a livello personale che collettivo, che le tecnologie intessono attorno a noi e dentro di noi, attraverso Internet in particolare e l'elettricità in generale. Funziona sia come memoria estesa sia come intelligenza di elaborazione per ogni individuo che usa tecnologie elettroniche, dal telegrafo, al “cloud computing”, a Twitter. Unisce le persone invece di dividerle, come è successo con l'alfabeto, e tiene conto di qualsiasi quantità di voci singole all'interno di uno spazio di informazione fluido, definibile in base agli individui e alla comunità che lo abitano, seguendo i bisogni collettivi. Può assumere svariate forme e mettere in comune risorse individuali in servizi come Wikipedia, o esternalizzare e oggettivare il nostro processo di immaginazione in contesti di finzione in grado di offrire all'utente esperienze in presa diretta, come Second Life.

Nel saggio si parla di generazione “always on”, “sempre connessa”, e di persone nate con un telefono cellulare in mano. Che significato ha tutto ciò?
La generazione “always on” è caratterizzata dall'essere costantemente raggiungibile grazie al proprio dispositivo mobile. Vive in una condizione di fiducia e disponibilità, in una sorta di dialogo incessante con il mondo. È anche una generazione iperstimolata, composta da drogati di informazione e connessione che hanno bisogno di far circolare e ricircolare informazioni dalla mente biologica a quella delle reti. Costruisce la propria identità online attraverso i social media e vive dell'eccellente reputazione che riesce a procurarsi curando il proprio profilo e i propri contatti. È quasi letteralmente “inserita” nella mente accresciuta.

Possiamo spingerci fino a sostenere che la generazione “always on” giunge a vedere il mondo in modo molto diverso dalle generazioni immediatamente precedenti? C'è un gap generazionale già tra genitori e figli?
Certo che sì, per questa generazione il mondo è sia globale sia geo-localizzato, allo stesso tempo. Ovunque si trovino, sono potenzialmente in contatto con il mondo intero. Come ha già osservato Doug Rushkoff, al giorno d'oggi i bambini non si limitano a guardare la televisione, come facevano i loro genitori, interagiscono con essa. Sono multitasking, possono gestire diverse “finestre” in una volta. La loro intelligenza si affida alla connessione con ipertesti colmi di riferimenti e tag, ipertesti che hanno gli stessi utenti al loro centro. I giovani sono “amici” già a tre o quattro gradi di separazione, mentre i loro nonni avevano bisogno almeno di stringere la mano a una persona più di una volta per considerare quella persona un “amico”.

Ma è anche la generazione “dalla bassa soglia di attenzione”, quindi? In altre parole, è preferibile che i contenuti – libri, media, notizie, film – siano brevi, veloci, facilmente fruibili come un SMS o un tweet?
Probabilmente sì, ma non è detto che questa sia una cosa negativa. Si sente e si legge molto oggigiorno in merito alle ripercussioni dei nuovi media e ai loro presunti effetti deleteri sulle menti dei nativi digitali.

Nicholas Carr si chiede con ansia se “Google ci renda stupidi”, se Internet “alteri il nostro modo di pensare rendendoci meno capaci di digerire ampie e complesse quantità di informazioni, come libri o articoli di riviste”. Dal mio punto di vista, è meglio chiedersi se l'elaborata articolazione dei messaggi non contrasti con l'inevitabile accelerazione della vita e della cultura introdotta dall'elettricità, a partire dall'avvento del telegrafo. I ritmi di vita e di apprendimento sono stati completamente alterati dalla rapida successione di enormi cambiamenti tecnologici, che includono il telefono, la radio, la televisione, i personal computer, Internet, i telefoni cellulari e le tecnologie mobili in generale.

L'attenzione a breve termine non vuol dire necessariamente attenzione debole, può significare attenzione veloce. Una cosa di cui i critici della cultura dello schermo non riescono a rendersi conto è che elaborare un'immagine richiede meno tempo rispetto all'elaborazione di anche solo una dozzina, figuriamoci un centinaio, di parole. L'attenzione a breve termine è quello che ci vuole per far fronte a richieste rapide, ma non preclude un'attività di pensiero più profonda. Quando hai davvero bisogno di approfondire e concentrarti, puoi farlo. Non è più una questione di immagazzinare informazioni. Perché preoccuparsene, dato che è tutto intorno a te? È più che mai una questione di contesto e di interesse. I ragazzini pensano di non amare lo studio perché il sistema educativo fallisce sistematicamente nel coinvolgerli. E questo li manda fuori di testa.

Da parte sua, come non citare le geremiadi di Sherry Turkle a proposito del fatto che le tecnologie della comunicazione stanno isolando le persone, limitando le reali interazioni umane, in una “realtà virtuale che non è altro che una brutta imitazione del mondo vero”. Perché sento una strana sensazione di “déjà vu”? Perché ho già sentito tutto ciò a proposito della televisione e non si è rivelato vero, quindi ho la tendenza a dubitare. In realtà, la mia esperienza è che, almeno per quanto riguarda i miei studenti, sì, è vero, loro non leggono molto, ma di certo sanno come visionare e esplorare Internet, trovare contenuti pertinenti e focalizzarsi sul materiale da loro selezionato. Stupido è chi non usa Google. Per quanto riguarda l'isolamento, possiamo rispondere a Turkle che Twitter, le email, i social media, piuttosto che isolarci in camera nostra, davvero ci mettono continuamente in contatto gli uni con gli altri.

Abbiamo menzionato Second Life, o The Sims, come esempi del modo in cui processi che tradizionalmente abbiamo ritenuto accadere esclusivamente dentro alle nostre teste – l'immaginazione, per esempio – stiano emigrando verso i computer e gli schermi fuori dalle nostre teste. Nel saggio questo fenomeno è definito 'Immaginario Oggettivo' – può chiarircelo meglio?
Pensiamo a tutte le fonti intellettuali che abbiamo imparato a elaborare nell'intimo isolamento della nostra mente, come la pianificazione, la selezione, la classificazione, il ricordo, la progettazione, il calcolo (già, prima dei calcolatori elettronici, dovevamo imparare le tabelline a memoria). Nella maggior parte dei casi, se non in tutti, queste operazioni cognitive vengono assunte, espanse, connesse, verificate e distribuite online attraverso schermi che “oggettivano” le elaborazioni stesse, sottoponendole alla nostra valutazione per essere approvate. L'immaginazione è la prossima.

Quello che sta cominciando a succedere è l'opposto di ciò che è accaduto al tempo in cui Cervantes scrisse Don Chisciotte. È un'opera di riferimento per le rivoluzioni cognitive, perché sono la sua eccessiva dipendenza dal romanzo cavalleresco medievale e la sua nostalgia per i tempi eroici a plasmare la sua mente. È tutto nella sua mente, ovvio, perché è nella sua mente che egli elabora le parole delle storie che legge. La realtà virtuale, per lui, è nella sua testa, non sullo schermo.

Ciò che mi intriga di Second Life e di altri ambienti virtuali 3-D è il fatto che emulano i nostri processi immaginativi ma all'esterno delle nostre teste, su uno schermo. Questa esternalizzazione di per sé è già un fenomeno cognitivo sorprendente, proietta l'universo di finzione davanti ai nostri occhi, invece che dietro. Ma ancora più interessante è il fatto che queste simulazioni possano essere condivise con altri. La ragione per cui chiamo questo fenomeno “Immaginario Oggettivo” è che occupa una posizione ibrida tra il teatro (che può essere simulato ma non è direttamente influenzato dal modo in cui noi lo interpretiamo) e il pensiero partecipativo, quello in cui contribuiamo attivamente alla realizzazione nelle nostre menti di figure, luoghi, suoni e altre caratteristiche sensoriali evocate dai racconti, semplicemente leggendoli.

Ne La mente accresciuta i tag e le keywords sono descritte come “le unità minime, i monomeri dell’ambiente cognitivo condiviso”. I tag, poi, sono definiti come “l’anima di internet” – come è arrivato a questa definizione?
Sempre restando in linea con l'approccio della Toronto School of Communications, ho provato a identificare i bias di internet come medium. Il principio operativo base di Internet è la commutazione in pacchetti per la trasmissione delle informazioni nel giusto ordine al posto giusto. La precisione dell'intero sistema è dovuta a un modo univoco di dividere le informazioni in brevi stringhe (o pacchetti) che vengono indirizzate nella sequenza, ognuna con la propria specifica etichetta e la propria posizione, per ricostruire il messaggio ovunque sia richiesto. Di base, il tag è proprio questo. Senza la possibilità di isolare, identificare e connettere ogni pacchetto non ci sarebbe né Internet né il World Wide Web. Taggare rende ogni informazione disponibile a richiesta, è quindi il nucleo, l'anima di internet. I tag consentono di connettere i mezzi analogici con quelli digitali, e di interconnettere tutto con tutto il resto da un capo della trasmissione all'altro, on demand. Oggi siamo al centro di quella che io chiamo l'era del tag.

Per concludere: che definizione potrebbe dare alla locuzione “polvere intelligente”?
Si tratta di un'espressione talmente recente che i vocabolari ancora non le hanno fatto posto; la lingua inglese è poi incerta tra “smart dust” e “intelligent dust”, con il primo favorito da Wikipedia: “La smart dust è un ipotetico sistema costituito da microscopici sistemi elettromeccanici (MEMS), come sensori, robot e altri device, che possono rilevare, ad esempio, luce, temperatura, vibrazioni, campi magnetici e reazioni chimiche; sono spesso interconnessi tramite wireless e sono distribuiti lungo certe aree per portare a termine dei compiti, in genere di rilevamento”.

Wikipedia fornisce anche esempi di applicazioni: “Un tipico scenario di applicazione è il posizionamento di un centinaio di questi sensori attorno a un edificio o a un ospedale per monitorare temperatura e umidità o per tracciare i movimenti dei pazienti; un'ulteriore applicazione potrebbe essere il loro sfruttamento come fonte di informazione per i soccorsi nei casi di disastri naturali, come per esempio i terremoti. In ambito militare, la smartdust potrebbe essere usata come sensore remoto per tracciare il movimento di unità nemiche o come rilevatore di gas velenoso o radioattività”.

Il mio interesse verso questo nuovo sviluppo tecnologico è dovuto al fatto che la smart dust impatta la giuntura tra il digitale e le nanotecnologie, oltre a ricongiungersi con il concetto di “cloud computing”, come è tipico delle fasi di rapida e intensa maturazione di internet, alla pari con l'invenzione e lo sviluppo dei motori di ricerca, dei blog, di Twitter: tutte considerevoli risorse della mente accresciuta.

*(traduzione di Daria Bernardoni)